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36 xvi - temistocle


Lisimaco. So che la fama il disse;

so che mentí; so per quai mezzi il cielo
te conservò.
Aspasia.   Giá che tant’oltre sai,
che per te piú non vivo ancor saprai.
Lisimaco. Deh! perché mi trafiggi
sí crudelmente il cor?
Aspasia.   Merita invero
piú di riguardo un sí fedele amico,
un sí tenero amante. Ingrato! e ardisci,
nemico al genitore,
venirmi innanzi e ragionar d’amore?
Lisimaco. Nemico! Ah! tu non vedi
le angustie mie. Sacro dover m’astringe
la patria ad ubbidir; ma in ogni istante
contrasta in me col cittadin l’amante.
Aspasia. Scòrdati l’uno o l’altro.
Lisimaco.   Uno non deggio,
l’altro non posso; e, senza aver mai pace,
procuro ognor quel che ottener mi spiace.
Aspasia. Va’, lode al ciel, nulla ottenesti.
Lisimaco.   Oh Dio!
pur troppo, Aspasia, ottenni. Ah! perdonate,
se al dolor del mio bene
donai questo sospiro, o dèi d’Atene.
Aspasia. (Io tremo!) E che ottenesti?
Lisimaco.   Il re concede
Temistocle alla Grecia.
Aspasia.   Aimè!
Lisimaco.   Pur ora
rimandarlo promise, e la promessa
giurò di mantener.
Aspasia.   Misera! (Ah! Serse
punisce il mio rifiuto.)
Lisimaco, pietá. Tu sol, tu puoi
salvarmi il padre.