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atto primo 297


Aminta. (con viso sdegnoso) Lasciami in pace, e prendi

alcun altro a schernir. Libero io nacqui,
se re non sono; e, se non merto omaggi,
  (crescendo il risentimento)
ho un core almen, che non sopporta oltraggi.
Agenore. Quel generoso sdegno
te scopre e me difende. Odimi e soffri
che ti sveli a te stesso il zelo mio.
Elisa. Come! Aminta ei non è? (ad Agenore)
Agenore.   No.
Aminta.   E chi son io?
Agenore. Tu Abdolonimo sei, l’unico erede
del soglio di Sidone.
Aminta.   Io!
Agenore.   Sí. Scacciato
dal reo Stratone, il padre tuo bambino
al mio ti consegnò. Questi, morendo,
alla mia fé commise
te, il segreto e le prove.
Elisa.   E il vecchio Alceo...
Agenore. L’educò sconosciuto.
Aminta.   E tu finora...
Agenore. Ed io, finor tacendo, alla paterna
legge ubbidii. M’era il parlar vietato,
finché qualche cammin t’aprisse al trono
l’assistenza de’ numi. Io la cercai
nel gran cor d’Alessandro, e la trovai.
Elisa. Oh giubilo! oh contento!
il mio bene è il mio re.
Aminta. (ad Agenore)  Dunque Alessandro...
Agenore. T’attende, e di sua mano
vuol coronarti il crin. Le regie spoglie
quelle son, ch’ei t’invia. Questi, che vedi,
son tuoi servi e custodi. Ah! vieni ormai;
ah! questo giorno ho sospirato assai. (parte)