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292 xxi - il re pastore


assai vasta è per me. D’agnelle io sono,

ei duce è di guerrieri:
picciol campo io coltivo, ei fonda imperi.
Alessandro. Ma può il ciel di tua sorte
in un punto cangiar tutto il tenore.
Aminta. Sí; ma il cielo finor mi vuol pastore.
          So che pastor son io,
     né cederei finor
     lo stato d’un pastor
     per mille imperi.
          Se poi lo stato mio
     il ciel cangiar vorrá,
     il ciel mi fornirá
     d’altri pensieri. (parte)

SCENA III

Alessandro ed Agenore.

Agenore. Or che dici, Alessandro?

Alessandro.   Ah! certo asconde
quel pastorel lo sconosciuto erede
del soglio di Sidone. Eran giá grandi
le prove tue; ma quel parlar, quel volto
son la maggior. Che nobil cor! che dolce,
che serena virtú! Sieguimi: andiamo
la grand’opra a compir. De’ fasti miei
sará questo il piú bello. Abbatter mura,
eserciti fugar, scuoter gl’imperi
fra’ turbini di guerra,
è il piacer che gli eroi provano in terra.
Ma sollevar gli oppressi,
render felici i regni,
coronar la virtú, togliere a lei
quel, che l’adombra, ingiurioso velo,
è il piacer che gli dèi provano in cielo.