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246 | xx - ipermestra |
son del vero amor tuo. Questa sventura
mi priva della man qualche momento;
ma del cor m’assicura, e son contento.
Elpinice. Sí dolorose prove
dar non vorrei dell’amor mio. Di queste
tu ancor ti stancherai.
Plistene. No, non si trova
pena che all’alma mia
per sí degna cagion dolce non sia.
Elpinice. So che fido sei tu, ma so che troppo
sventurata son io.
Plistene. Deh! non conviene
disperar cosí presto. Esser potrebbe
questo, che ci minaccia,
un nembo passeggier. Chi sa? Talora
un male inteso accento
stravaganze produce. Almen si sappia
la cagion che ci affligge, ed avrem poi
assai tempo a dolerci.
Elpinice. È ver. L’amico
a raggiunger tu corri: io d’Ipermestra
volo i sensi a spiar. Secondi Amore
le cure nostre. Il tuo parlar m’inspira
e fermezza e coraggio. Io non so quale
arbitrio hai tu sopra gli affetti. Oppressa
ero giá dal timor; funesto e nero
pareami il ciel: tu vuoi che speri, e spero.
Solo effetto era d’amore
quel timor che avea nel petto;
e d’amore è solo effetto
or la speme del mio cor.
Han tal forza i detti tuoi,
che, se vuoi, — prende sembianza
di timor la mia speranza,
di speranza il mio timor. (parte)