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atto terzo 165


se il generoso Manlio altri vuol darne,

altri ne chiederò.
Manlio.   Parla.
Regolo.   Compíto
ogni dover di cittadino, alfine
mi sovvien che son padre. Io lascio in Roma
due figli, il sai: Publio ed Attilia; e questi
son del mio cor, dopo la patria, il primo,
il piú tenero affetto. In lor traluce
indole non volgar; ma sono ancora
piante immature, e di cultor prudente
abbisognano entrambi. Il ciel non volle
che l’opera io compissi. Ah! tu ne prendi
per me pietosa cura;
tu di lor con usura
la perdita compensa. Al tuo bel core
debbano e a’ tuoi consigli
la gloria il padre, e l’assistenza i figli.
Manlio. Sí, tel prometto: i preziosi germi
custodirò geloso. Avranno un padre,
se non degno cosí, tenero almeno
al par di te. Della virtú romana
io lor le tracce additerò. Né molto
sudor mi costerá. Basta a quell’alme,
di bel desio giá per natura accese,
l’istoria udir delle paterne imprese.
Regolo. Or sí piú non mi resta...

SCENA II

Publio e detti.

Publio. Manlio! padre!

Regolo.   Che avvenne?
Publio. Roma tutta è in tumulto; il popol freme
non si vuol che tu parta.