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160 | xviii - attilio regolo |
giá dal senato in dono
la madre tua; questa cedendo al fato,
signor di lei tu rimanesti.
Publio. Or odi
qual uso io fo del mio dominio. Amai
Barce piú della vita,
ma non quanto l’onor. So che un tuo pari
creder nol può; ma toglierò ben io
di sí vili sospetti
ogni pretesto alla calunnia altrui.
Barce, libera sei: parti con lui.
Barce. Numi! ed è ver?
Amilcare. D’una virtú sí rara...
Publio. Come s’ama fra noi, barbaro, impara. (parte)
SCENA X
Licinio, Attilia, Barce ed Amilcare.
(a Licinio, che non l’ode)
Barce. Udisti
come Publio parlò? (ad Amilcare, come sopra)
Attilia. (a Licinio) Tu non rispondi!
Barce. Tu non m’odi, idol mio! (ad Amilcare)
Amilcare. Addio, Barce: m’attendi.
(risoluto, incamminandosi per partire)
Licinio. (come sopra) Attilia, addio.
Attilia. | Dove? | |
Barce. |
Amilcare. Regolo a conservar. (a Barce)
Attilia. (a Licinio) Ma per qual via?
Barce. Ma come? (ad Amilcare)