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154 xviii - attilio regolo


Attilia. Que’ rimproveri acerbi

mi trafiggono il cor: non ho costanza
per soffrir l’ire sue.
Licinio.   Ma di’: vorresti
pria d’un tal genitor vederti priva?
Attilia. Ah! questo no: mi sia sdegnato, e viva.
Licinio. Vivrá. Cessi quel pianto:
tornatevi di nuovo,
begli occhi, a serenar. Se veggo, oh Dio!
mestizia in voi, perdo coraggio anch’io.
               Da voi, cari lumi,
          dipende il mio stato:
          voi siete i miei numi:
          voi siete il mio fato:
          a vostro talento
          mi sento — cangiar.
               Ardir m’inspirate,
          se lieti splendete;
          se torbidi siete,
          mi fate — tremar. (parte)

SCENA VI

Attilia sola.

Ah! che pur troppo è ver: non han misura

della cieca fortuna
i favori e gli sdegni. O de’ suoi doni
è prodiga all’eccesso,
o affligge un cor fin che nol vegga oppresso.
Or l’infelice oggetto
son io dell’ire sue. Mi veggo intorno
di nembi il ciel ripieno;
e chi sa quanti strali avranno in seno.