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atto secondo 147


la natura repugna. Alfin son figlio:

non lo posso obbliar.
Regolo.   Scusa infelice
per chi nacque romano. Erano padri
Bruto, Manlio, Virginio...
Publio.   È ver; ma questa
troppo eroica costanza
sol fra’ padri restò. Figlio non vanta
Roma finor, che a proccurar giungesse
del genitor lo scempio.
Regolo. Dunque aspira all’onor del primo esempio.
Va’.
Publio.   Deh!...
Regolo.   Non piú. Della mia sorte attendo
la notizia da te.
Publio.   Troppo pretendi,
troppo, o signor.
Regolo.   Mi vuoi straniero o padre?
Se stranier, non posporre
l’util di Roma al mio; se padre, il cenno
rispetta e parti.
Publio.   Ah! se mirar potessi
i moti del cor mio, rigido meno
forse con me saresti.
Regolo.   Or dal tuo core
prove io vo’ di costanza e non d’amore.
Publio.   Ah! se provar mi vuoi,
     chiedimi, o padre, il sangue;
     e tutto a’ piedi tuoi,
     padre, lo verserò.
          Ma che un tuo figlio istesso
     debba volerti oppresso?
     gran genitor, perdona,
     tanta virtú non ho. (parte)