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88 xii - demofoonte


non che di me; ma il mio destin non vuole

ch’io possa esserti sposo. Un vi si oppone
invincibil riparo. Il padre mio
nol sa, né posso dirlo. A te conviene
prevenire un rifiuto. In vece mia,
va’, rifiutami tu. Di’ ch’io ti spiaccio;
aggrava, io tel perdono,
i demeriti miei; sprezzami, e salva
per questa via, che il mio dover t’addita,
l’onor tuo, la mia pace e la mia vita.
Creusa. Come!
Timante.   Teco io non posso
trattenermi di piú. Prence, alla reggia
sia tua cura il condurla. (a Cherinto, partendo)
Creusa.   Ah! dimmi almeno...
Timante. Dissi tutto il cor mio,
né piú dirti saprei: pensaci. Addio! (parte)

SCENA VII

Creusa e Cherinto.

Creusa. Numi! a Creusa, alla reale erede

dello scettro di Frigia un tale oltraggio!
Cherinto, hai cor?
Cherinto.   L’avrei,
se tu non mel toglievi.
Creusa.   Ah! l’onor mio
vendica tu, se m’ami. Il cor, la mano,
il talamo, lo scettro,
quanto possiedo, è tuo: limite alcuno
non pongo al premio.
Cherinto.   E che vorresti?
Creusa.   Il sangue
dell’audace Timante.