Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto primo | 85 |
ch’io parli? Ubbidirò. Dal primo istante...
Quel giorno... Oh Dio! No, non ho cor! Perdona;
meglio è tacer: meriterei, parlando,
forse lo sdegno tuo.
Creusa. Lo merta assai
giá la tua diffidenza. È ver che alfine
io son donna, e sarebbe
mal sicuro il segreto. Andiamo, andiamo.
Taci pur: n’hai ragion.
Cherinto. Férmati! Oh numi!
Parlerò: non sdegnarti. Io non ho pace;
tu me la togli; il tuo bel volto adoro;
so che l’adoro invano,
e mi sento morir. Questo è l’arcano.
Creusa. Come? che ardir!
Cherinto. Nol dissi
che sdegnar ti farei?
Creusa. Sperai, Cherinto,
piú rispetto da te.
Cherinto. Colpa d’amore.
Creusa. Taci, taci: non piú. (volendo partire)
Cherinto. Ma, giacché a forza
tu volesti, o Creusa,
il delitto ascoltar, senti la scusa.
Creusa. Che dir potrai?
Cherinto. Che di pietá son degno,
s’ardo per te; che, se l’amarti è colpa,
Demofoonte è il reo. Doveva il padre,
per condurti a Timante,
altri sceglier che me. Se l’ésca avvampa,
stupir non dee chi l’avvicina al fuoco.
Tu bella sei; cieco io non son. Ti vidi,
t’ammirai, mi piacesti. A te vicino
ogni dí mi trovai. Comodo e scusa
il nome di congiunto