come palpita il cor; come si trema,
quando al temuto vaso
la mano accosta il sacerdote, e quando
in sembianza funesta
l’estratto nome a pronunciar s’appresta;
e arrossisca una volta
ch’abbia a toccar sempre la parte a lui
di spettator nelle miserie altrui.
Dircea. Ma sai pur che a’ sovrani
è suddita la legge.
Matusio. Le umane sí, non le divine.
Dircea. E queste
a lor s’aspetta interpretar.
Matusio. Non quando
parlan chiaro gli dèi.
Dircea. Mai chiaro a segno...
Matusio. Non più, Dircea; son risoluto.
Dircea. Ah! meglio
pensaci, o genitor. L’ira ne’ grandi
sollecita s’accende,
tarda s’estingue. È temeraria impresa
l’irritare uno sdegno
che ha congiunto il poter. Giá il re pur troppo
bieco ti guarda. Ah! che sará, se aggiunge
ire novelle all’odio antico?
Matusio. Invano
l’odio di lui tu mi rammenti e l’ira:
la ragion mi difende, il ciel m’inspira.
O piú tremar non voglio
fra tanti affanni e tanti;
o ancor chi preme il soglio
ha da tremar con me.
Ambo siam padri amanti,
ed il paterno affetto
parla egualmente in petto
del suddito e del re. (parte)