Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto terzo | 325 |
SCENA XI
Ciro e poi Arpalice.
questo torbido giorno, e sia piú chiaro
l’altro almen che verrá.
Arpalice. Mio caro Alceo,
tu salvo! Oh me felice! Ah! vieni a parte
de’ pubblici contenti. Il nostro Ciro
vive; si ritrovò. Quel, che uccidesti,
era un vile impostor.
Ciro. Sí? donde il sai?
Arpalice. Certo il fatto esser dee: queste campagne
non risuonan che Ciro. Oh, se vedessi
in quai teneri eccessi
d’insolito piacer prorompe ogni alma!
Chi batte palma a palma,
chi sparge fior, chi se ne adorna, i numi
chi ringrazia piangendo. Altri il compagno
corre a sveller dall’opra; altri l’amico
va dal sonno a destar. Riman l’aratro
qui nel solco imperfetto; ivi l’armento
resta senza pastor. Le madri ascolti,
di gioia insane, a’ pargoletti ignari
narrar di Ciro i casi. I tardi vecchi
vedi, ad onta degli anni,
se stessi invigorir. Sino i fanciulli,
i fanciulli innocenti,
non san perché, ma, sul comune esempio,
van festivi esclamando: — Al tempio! al tempio!
Ciro. E tu Ciro vedesti?
Arpalice. Ancor nol vidi.
Corriam...