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atto secondo 301


solamente un piacer; ma forse il frutto

dell’altrui cure e de’ perigli immensi
arrischio col parlar.)
Mandane.   Che fai? che pensi?
che ragioni fra te? Quei passi incerti,
quelle nel proferir voci interrotte
che voglion dir? Che la tua madre io sono,
sai finora o non sai? Se giá t’è noto,
perché t’infingi? e, se t’è ignoto ancora,
perché freddo cosí? Parla!
Ciro.   (Che pena!
Sento il sangue in tumulto in ogni vena.)
Mandane. Trovar dopo tre lustri
una madre...
Ciro.   (E qual madre!)
Mandane. ...e accoglierla in tal guisa?
e fuggir le sue braccia?
Ciro. (Ah! Mitridate, e come vuoi ch’io taccia?)
Mandane. Questi son dunque i teneri trasporti,
le lagrime amorose, i cari amplessi
e le frapposte a’ baci
affollate domande? — Ah! madre... — Ah! figlio...
— Udisti i casi miei? Narrami i tui...
— Quanto errai!... — Quanto piansi!... — Io dissi... — Io fui... —
No, questo è troppo: o il figlio mio non sei,
o per nuova sventura
tutti gli ordini suoi cambiò natura.
Ciro. (Si voli a Mitridate: egli alla madre
di spiegarmi permetta.)
Mandane. Né vuoi parlar?
Ciro.   Sí: pochi istanti aspetta:
a momenti ritorno. (s’incammina frettoloso)
Mandane.   Ah! prima... ah! senti;
di’: sei Ciro o non sei?
Ciro.   Torno a momenti.