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atto primo 23

SCENA IX

Megacle solo.

Che intesi, eterni dèi! Quale improvviso

fulmine mi colpí! L’anima mia
dunque fia d’altri! E ho da condurla io stesso
in braccio al mio rival! Ma quel rivale
è il caro amico. Ah! quali nomi unisce
per mio strazio la sorte. Eh! che non sono
rigide a questo segno
le leggi d’amistá. Perdoni il prence:
ancor io sono amante. Il domandarmi
ch’io gli ceda Aristea non è diverso
dal chiedermi la vita. E questa vita
di Licida non è? Non fu suo dono?
Non respiro per lui? Megacle ingrato!
e dubitar potresti? Ah! se ti vede
con questa in volto infame macchia e rea,
ha ragion d’abborrirti anche Aristea.
No! tal non mi vedrá. Voi soli ascolto,
obblighi d’amistá, pegni di fede,
gratitudine, onore. Altro non temo
che ’l volto del mio ben. Questo s’eviti
formidabile incontro. In faccia a lei,
misero! che farei? Palpito e sudo
solo in pensarlo, e parmi
istupidir, gelarmi,
confondermi, tremar... No, non potrei...