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270 xv - ciro riconosciuto


che il materno desio. Sai che prescritta

del tuo Ciro all’arrivo è l’ora istessa
del sacrifizio. Alla notturna dea
immolar non si vuole
pria che il sol non tramonti; e or nasce il sole.
Mandane. È ver; ma non dovrebbe
il figlio impaziente... Ah! ch’io pavento...
Arpalice...
Arpalice.   E di che, se Astiage istesso,
che lo voleva estinto, oggi il suo Ciro
chiama, attende, sospira?
Mandane.   E non potrebbe
finger cosí?
Arpalice.   Finger! Che dici? E vuoi
che di tanti spergiuri
si faccia reo? che ad ingannarlo il tempo
scelga d’un sacrifizio, e far pretenda
del tradimento suo complici i numi?
No: col cielo in tal guisa
non si scherza, o Mandane.
Mandane.   E pur, se fede
prestar si dee... Ma chi s’appressa? Ah! corri...
Forse Ciro...
Arpalice.   È una ninfa.
Mandane.   È ver. Che pena!
Arpalice. (Tutto Ciro le sembra.) E ben?
Mandane.   Se fede
meritan pur le immagini notturne,
odi qual fiero sogno...
Arpalice.   Ah! non parlarmi
di sogni, o principessa: è di te indegna
sí pueril credulitá. Tu déi
piú d’ognun detestarla. Un sogno, il sai,
fu cagion de’ tuoi mali. In sogno il padre
vide nascer da te l’arbor che tutta
l’Asia copria: n’ebbe timor; ne volle