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atto terzo 257


un innocente amor? L’inganno? È Teti

la rea: giá fu punita. Ella in tal guisa
celare ad ogni ciglio
il figlio volle, e fe’ palese il figlio.
Oh, come al nodo illustre
la terra esulterá, che mai non vide
tanto valor, tanta bellezza e tante
virtudi unir! Qual di tai sposi il cielo
cura non prenderá, se ne deriva
l’uno e l’altro egualmente! E quai nipoti
attenderne dovrai, se tutti eroi
furon gli avi d’Achille e gli avi tuoi!
Achille. (Chi mai sperato avrebbe
in Teagene il mio sostegno!)
Licomede.   Achille,
sí grande questo nome
suona nell’alma mia, che usurpa il loco
a tutt’altro pensier. Che dir poss’io
dell’imeneo richiesto? Il generoso
Teagene l’applaude, il ciel lo vuole,
tu lo domandi: io lo consento. Ammiro
sí strani eventi; e, rispettoso, in loro
del consiglio immortal gli ordini adoro.
Achille. Ah, Licomede!... Ah, Teagene!... Andate
la mia sposa, il mio bene,
custodi, ad affrettar.
(a Teagene)  Principe, oh quanto,
quanto ti deggio mai! Padre, signore,
come a sí caro dono
grato potrò mostrarmi?
Licomede.   A Licomede
l’esser padre a tal figlio è gran mercede.
               Or che mio figlio sei,
     sfido il destin nemico;
     sento degli anni miei
     il peso alleggerir.