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atto terzo | 251 |
immergi in questo sen. L’opra pietosa
giova ad entrambi. Ad avvezzarti. Achille,
tu cominci alle stragi; io fuggo almeno
un piú lungo morir. Tu lieto vai
senz’aver chi t’arresti; io son contenta
che quella destra amata,
arbitra di mia sorte,
se vita mi niegò, mi dia la morte. (piange)
Arcade. (Io cederei.)
Deidamia. L’ultimo dono...
Achille. Ah! taci;
ah! non pianger, mia vita. Ulisse, ormai
l’opporsi è tirannia.
Ulisse. Lo veggo.
Achille. Alfine
non chiede che un sol giorno. Un giorno solo
ben puoi donarmi.
Ulisse. Oh! questo no. Men vado
d’Achille a’ duci argivi
le glorie a raccontar. Da me sapranno
qual nobile sudor le macchie indegne
lavi dei nome suo; quai scuse illustri
fa degli ozi di Sciro
giá la tua spada; e di qual serie augusta
va per te di trofei la fama onusta.
Achille. Ma valor non si perde...
Ulisse. Eh! di valore
piú non parlar. Spoglia quell’armi; a Pirra
non sarian che d’impaccio.
(ai detti mordaci di Ulisse, Achille si turba, s’accende e sdegnasi per gradi)
la gonna al nostro eroe. Riposi ormai,
ché sotto l’elmo ha giá sudato assai.
Arcade. (Vuol destarlo, e lo punge.)