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atto terzo | 249 |
Ulisse. Achille!
Achille. Due soli accenti. (ad Ulisse)
Ulisse. (Aimè!)
Achille. No, principessa,
non son, qual tu mi chiami,
traditore o nemico. Eterna fede
giurai: la serberò. Legge d’onore
mi toglie a te; ma tornerò piú degno
de’ cari affetti tuoi. S’io parto e taccio,
odio non è né sdegno,
ma timore e pietá: pietá del tuo
troppo vivo dolor; téma del mio
valor poco sicuro. Uno previdi;
non mi fidai dell’altro. Io so che m’ami,
cara, piú di te stessa; io sento...
Ulisse. Achille!
Achille. Eccomi!
Arcade. (E pur non viene.)
Achille. Io sento in petto...
Deidamia. Non piú: troppo, lo veggo,
troppo trascorsi. Al grande amor perdona
i miei trasporti. È ver: se stesso Achille
deve alla Grecia, al mondo
ed alle glorie sue. Va’; non pretendo
d’interromperne il corso: avrai seguaci
gli affetti, i voti miei. Ma, giá ch’io deggio
restar senza di te, sia meno atroce,
sia men súbito il colpo. Abbia la mia
vacillante virtú tempo a raccôrre
le forze sue. Chiedo un sol giorno; e poi
vattene in pace. Ah! non si niega a’ rei
tanto spazio a morir: temer degg’io
ch’abbia a negarsi a me?
Arcade. (Se un giorno ottiene,
tutto otterrá.)