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232 xiv - achille in sciro


ho da soffrir? Le mie minacce or veggo

ch’altri deride; ingiurioso impiego
or m’odo imporre; or negli esempi altrui
i falli miei rimproverar mi sento.
Son stanco d’arrossirmi ogni momento.
Nearco. Un rossor ti figuri...
Achille.   Ah! taci: assai
ho tollerato i tuoi
vilissimi consigli. Altri ne intesi
dal tessalo maestro; e allor sapea
vincer nel corso i venti,
abbatter fiere e valicar torrenti.
Ed ora... Ah! che direbbe,
se in questa gonna effeminato e molle
mi vedesse Chirone? Ove da lui
m’asconderei? Che replicar, se in volto
rigido mi chiedesse: — Ov’è la spada,
ove l’altr’armi, Achille? Ah! di mie scuole
tu non serbi altro segno
che la cetra avvilita ad uso indegno. —
Nearco. Basta, signor: piú non m’oppongo. Alfine
son persuaso anch’io.
Achille.   Ti par, Nearco,
quest’ozio vergognoso
degno di me?
Nearco.   No: lo conosco; è tempo
che dal sonno ti desti,
che ti svolga da questi
impacci femminili, e corra altrove
a dar del tuo gran cor nobili prove.
È ver che Deidamia,
priva di te, non avrá pace, e forse
ne morrá di dolor; ma, quando ancora
n’abbia a morir, non t’arrestar per lei:
vagliono la sua vita i tuoi trofei.
Achille. Morir! Dunque tu credi