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atto primo 15
Argene.   Dunque dovea la mano

a Megacle donar?
Aristea.   Megacle! (Oh nome!)
Di qual Megacle parli?
Argene.   Era lo sposo
questi che il re mi destinò. Dovea
dunque obbliar.
Aristea.   Ne sai la patria?
Argene.   Atene.
Aristea. Come in Creta pervenne?
Argene.   Amor vel trasse,
com’ei stesso dicea, ramingo, afflitto.
Nel giungervi, fu còlto
da stuol di masnadieri; e, oppresso ormai,
la vita vi perdea. Licida a sorte
vi si avvenne, e il salvò. Quindi fra loro
fidi amici fûr sempre. Amico al figlio,
fu noto al padre; e dal reale impero
destinato mi fu, perché straniero.
Aristea. Ma ti ricordi ancora
le sue sembianze?
Argene.   Io l’ho presente. Avea
bionde le chiome, oscuro il ciglio; i labbri
vermigli sí, ma tumidetti, e forse
oltre il dover; gli sguardi
lenti e pietosi: un arrossir frequente,
un soave parlar. Ma., principessa,
tu cambi di color! Che avvenne?
Aristea.   Oh Dio!
quel Megacle, che pingi, è l’idol mio.
Argene. Che dici!
Aristea.   Il vero. A lui,
lunga stagion giá mio segreto amante,
perché nato in Atene,
negommi il padre mio, né volle mai
conoscerlo, vederlo,