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atto terzo 185


Mora!... Ma senza udirlo

mando Sesto a morir?... Sí, giá l’intese
abbastanza il senato. E s’egli avesse
qualche arcano a svelarmi? Olá! (depone la penna
intanto esce una guardia).  (S’ascolti,
e poi vada al supplizio.) A me si guidi
Sesto (parte la guardia). È pur di chi regna
infelice il destino! (s’alza) A noi si niega
ciò che a’ piú bassi è dato. In mezzo al bosco
quel villanel mendico, a cui circonda
ruvida lana il rozzo fianco, a cui
è malfido riparo
dall’ingiurie del ciel tugurio informe,
placido i sonni dorme,
passa tranquillo i dí, molto non brama,
sa chi l’odia e chi l’ama, unito o solo
torna sicuro alla foresta, al monte,
e vede il core a ciascheduno in fronte.
Noi, fra tante grandezze,
sempre incerti viviam; ché in faccia a noi
la speranza o il timore
su la fronte d’ognun trasforma il core.
Chi dall’infido amico... Olá!... chi mai
questo temer dovea?

SCENA V

Publio e Tito.

Tito.   Ma, Publio, ancora

Sesto non viene.
Publio.   Ad eseguire il cenno
giá volâro i custodi.
Tito.   Io non comprendo
un sí lungo tardar.