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atto terzo 183


Tito.   Pietá! Ma dunque

sicuramente è reo?
Annio.   Quel manto, ond’io
parvi infedele, egli mi die’. Da lui
sai che seppesi il cambio. A Sesto in faccia,
esser da lui sedotto
Lentulo afferma, e l’accusato tace.
Che sperar si può mai?
Tito.   Speriamo, amico,
speriamo ancora. Agl’infelici è spesso
colpa la sorte; e quel, che vero appare,
sempre vero non è. Tu ne hai le prove:
con la divisa infame
mi vieni innanzi; ognun t’accusa: io chiedo
degl’indizi ragion; tu non rispondi,
palpiti, ti confondi... A tutti vera
non parea la tua colpa? E pur non era.
Chi sa? Di Sesto a danno
può il caso unir le circostanze istesse,
o somiglianti a quelle.
Annio.   Il ciel volesse!
Ma se poi fosse reo?
Tito. Ma, se poi fosse reo, dopo sí grandi
prove dell’amor mio; se poi di tanta
enorme ingratitudine è capace,
saprò scordarmi appieno
anch’io... Ma non sará: lo spero almeno.

SCENA III

Publio con foglio, e detti.

Publio. Cesare, nol diss’io? Sesto è l’autore

della trama crudel.
Tito.   Publio, ed è vero?