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atto secondo | 169 |
dirti di piú.
Annio. Sesto è infedele!
Sesto. Amico,
m’ha perduto un istante. Addio. M’involo
alla patria per sempre.
Ricòrdati di me. Tito difendi
da nuove insidie. Io vo ramingo, afflitto
a pianger fra le selve il mio delitto.
Annio. Férmati! Oh dèi! Pensiam... Senti. Finora
la congiura è nascosta; ognuno incolpa
di quest’incendio il caso: or la tua fuga
indicar la potrebbe.
Sesto. E ben, che vuoi?
Annio. Che tu non parta ancor, che taccia il fallo,
che torni a Tito, e che con mille emendi
prove di fedeltá l’error passato.
Sesto. Colui, qualunque sia, che cadde estinto,
basta a scoprir...
Annio. Lá dov’ei cadde, io volo.
Saprò chi fu; se il ver si sa; se parla
alcun di te. Pria che s’induca Augusto
a temer di tua fé, potrò avvertirti:
fuggir potrai. Dubbio è ’l tuo mal, se resti;
certo, se parti.
Sesto. Io non ho mente, amico,
per distinguer consigli. A te mi fido.
Vuoi ch’io vada? anderò... Ma Tito, oh numi!
mi leggerá sul volto. (s’incammina e si ferma)
Annio. Ogni tardanza,
Sesto, ti perde.
Sesto. Eccomi, io vo... (come sopra) Ma questo
manto asperso di sangue?
Annio. Chi quel sangue versò?
Sesto. Quell’infelice
che per Tito io piangea.