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162 xiii - la clemenza di tito


S’impedisca... Ma come,

or che tutto è disposto?... Andiamo, andiamo
Lentulo a trattener. Sieguane poi
quel che il fato vorrá. Stelle, che miro!
Arde giá il Campidoglio! Aimè! l’impresa
Lentulo incominciò. Forse giá tardi
sono i rimorsi miei.
Difendetemi Tito, eterni dèi! (vuol partire)

SCENA II

Annio e detto.

Annio. Sesto, dove t’affretti?

Sesto.   Io corro, amico...
Oh dèi! non m’arrestar. (vuol partire)
Annio.   Ma dove vai?
Sesto. Vado... Per mio rossor giá lo saprai. (parte)

SCENA III

Annio, poi Servilia, indi Publio con guardie.

Annio. «Giá lo saprai per mio rossor»! Che arcano

si nasconde in que’ detti! A quale oggetto
celarlo a me? Quel pallido sembiante,
quel ragionar confuso,
stelle! che mai vuol dir? Qualche periglio
sovrasta a Sesto. Abbandonar nol deve
un amico fedel. Sieguasi. (vuol partire)
Servilia.   Alfine,
Annio, pur ti riveggo.
Annio.   Ah! mio tesoro,
quanto deggio al tuo amor! Torno a momenti:
perdonami, se parto.