Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. III, 1914 – BEIC 1885240.pdf/164

158 xiii - la clemenza di tito


di quel perfido sangue; e tu sarai

la delizia, l’amore,
la tenerezza mia. Non basta? Ascolta,
e dubita, se puoi. Sappi che amai
Tito finor; che del mio cor l’acquisto
ei t’impedí; che, se rimane in vita,
si può pentir; ch’io ritornar potrei,
non mi fido di me, forse ad amarlo.
Or va’: se non ti muove
desio di gloria, ambizione, amore;
se tolleri un rivale,
che usurpò, che contrasta,
che involar ti potrá gli affetti miei,
degli uomini il piú vil dirò che sei.
Sesto. Quante vie d’assalirmi!
Basta, basta, non piú! Giá m’inspirasti,
Vitellia, il tuo furore. Arder vedrai
fra poco il Campidoglio; e questo acciaro
nel sen di Tito... (Ah, sommi dèi, qual gelo
mi ricerca le vene!)
Vitellia.   Ed or che pensi?
Sesto. Ah, Vitellia!
Vitellia.   Il previdi:
tu pentito giá sei...
Sesto.   Non son pentito;
ma...
Vitellia.   Non stancarmi piú. Conosco, ingrato,
che amor non hai per me. Folle ch’io fui!
Giá ti credea, giá mi piacevi, e quasi
cominciavo ad amarti. Agli occhi miei
invólati per sempre,
e scòrdati di me.
Sesto.   Férmati! io cedo;
io giá volo a servirti.
Vitellia.   Eh! non ti credo.
M’ingannerai di nuovo. In mezzo all’opra
ricorderai...