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148 xiii - la clemenza di tito


Coro.   Serbate, o dèi custodi

     della romana sorte,
     in Tito, il giusto, il forte,
     l’onor di nostra etá.
Tito. Basta, basta, o quiriti.
Sesto a me s’avvicini; Annio non parta;
ogni altro si allontani.

Si ritirano tutti fuori dell’atrio, e vi rimangono Tito, Sesto ed Annio.

Annio.   (Adesso, o Sesto,

parla per me.)
Sesto.   Come, signor, potesti
la tua bella regina...
Tito.   Ah, Sesto, amico,
che terribil momento! Io non credei...
Basta, ho vinto: partí. Grazie agli dèi!
Giusto è ch’io pensi adesso
a compir la vittoria. Il piú si fece:
facciasi il meno.
Sesto.   E che piú resta?
Tito.   A Roma
toglier ogni sospetto
di vederla mia sposa.
Sesto.   Assai lo toglie
la sua partenza.
Tito.   Un’altra volta ancora
partissi e ritornò. Del terzo incontro
dubitar si potrebbe; e, finché vuoto
il mio talamo sia d’altra consorte,
chi sa gli afletti miei
sempre dirá ch’io lo conservo a lei.
Il nome di regina
troppo Roma abborrisce. Una sua figlia
vuol veder sul mio soglio;
e appagarla convien. Giacché l’amore
scelse invano i miei lacci, io vuo’ che almeno