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atto primo | 143 |
e del mondo e di sé. Giá per suo cenno
Berenice partí.
Sesto. Come!
Vitellia. Che dici!
Annio. Voi stupite a ragion. Roma ne piange
di meraviglia e di piacere. Io stesso
quasi noi credo; ed io
fui presente, o Vitellia, al grande addio.
Vitellia. (Oh speranze!)
Sesto. Oh virtú!
Vitellia. Quella superba
oh, come volentieri udita avrei
esclamar contro Tito!
Annio. Anzi giammai
piú tenera non fu. Partí; ma vide
che adorata partiva e che al suo caro
men che a lei non costava il colpo amaro.
Vitellia. Ognun può lusingarsi.
Annio. Eh! si conobbe
che bisognava a Tito
tutto l’eroe per superar l’amante.
Vinse, ma combatté. Non era oppresso,
ma tranquillo non era; ed in quel volto,
dicasi per sua gloria,
si vedea la battaglia e la vittoria.
Vitellia. (E pur forse con me, quanto credei,
Tito ingrato non è.) (a parte a Sesto) Sesto, sospendi
d’eseguire i miei cenni. Il colpo ancora
non è maturo.
Sesto. (con isdegno) E tu non vuoi ch’io vegga...
ch’io mi lagni, o crudele...
Vitellia. (con i sdegno) Or che vedesti?
di che ti puoi lagnar?
Sesto. (con sommissione) Di nulla. (Oh Dio!
chi provò mai tormento eguale al mio?)