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atto primo 141


Parlagli di punir: scuse al delitto

cerca in ognun. Chi all’inesperta ei dona,
chi alla canuta etá. Risparmia in uno
l’onor del sangue illustre; il basso stato
compatisce nell’altro. Inutil chiama,
perduto il giorno ei dice,
in cui fatto non ha qualcun felice.
Vitellia. Ma regna.
Sesto.   Ei regna, è ver; ma vuol da noi
sol tanta servitú quanto impedisca
di perir la licenza. Ei regna, è vero;
ma di sí vasto impero,
tolto l’alloro e l’ostro,
suo tutto il peso, e tutto il frutto è nostro.
Vitellia. Dunque a vantarmi in faccia
venisti il mio nemico; e piú non pensi
che questo eroe clemente un soglio usurpa
dal suo tolto al mio padre?
che m’ingannò, che mi ridusse (e questo
è il suo fallo maggior) quasi ad amarlo?
E poi, perfido! e poi di nuovo al Tebro
richiamar Berenice! Una rivale
avesse scelta almeno
degna di me fra le beltá di Roma:
ma una barbara, o Sesto,
un’esule antepormi! una regina!
Sesto. Sai pur che Berenice
volontaria tornò.
Vlitellia.   Narra a’ fanciulli
codeste fole. Io so gli antichi amori;
so le lagrime sparse allor che quindi
l’altra volta partí; so come adesso
l’accolse e l’onorò. Chi non lo vede?
il perfido l’adora.
Sesto.   Ah! principessa,
tu sei gelosa.