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atto terzo 119


il re cedé, si raddolcí, dal suolo

la nuora sollevò, si strinse al petto
l’innocente bambin, gli sdegni suoi
calmò, s’intenerí, pianse con noi.
Timante. Oh mio dolce germano!
oh caro padre mio! Cherinto, andiamo,
andiamo a lui!
Cherinto.   No: il fortunato avviso
recarti ei vuol. Si sdegnerá, se vede
ch’io lo prevenni.
Timante.   E tanto amore, e tanta
tenerezza ha per me, che fino ad ora
la meritai sí poco? Oh, come chiari
la sua bontá rende i miei falli! Adesso
li veggo, e n’ho rossor. Potessi almeno
di lui col re di Frigia
disimpegnar la fé. Cherinto, ah! salva
l’onor suo, tu che puoi. La man di sposo
offri a Creusa in vece mia. Difendi
da una pena infinita
gli ultimi dí della paterna vita.
Cherinto. Che mi proponi, o prence! Ah! per Creusa,
sappilo alfin, non ho riposo; io l’amo
quanto amar si può mai. Ma...
Timante.   Che?
Cherinto.   Non spero
ch’ella m’accetti. Al successor reale
sai che fu destinata: io non son tale.
Timante. Altro inciampo non v’è?
Cherinto.   Grande abbastanza
questo mi par.
Timante.   Va’; la paterna fede
disimpegna, o german: tu sei l’erede.
Cherinto. Io?
Timante.   Sí. Giá lo saresti,
s’io non vivea per te. Ti rendo, o prence,