Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. III, 1914 – BEIC 1885240.pdf/117


atto secondo 111


Demofoonte.   Perfido figlio!

Timante. (vede crescere il numero delle guardie, e si pone innanzi
alla sposa)  Alcuno
non s’appressi a Dircea!
Dircea.   Principe, ah! cedi:
pensa a te.
Demofoonte.   No, custodi,
non si stringa il ribelle: al suo furore
si lasci il fren. Vediamo
fin dove giungerá. Via! su! compisci
l’opera illustre. In questo petto immergi
quel ferro, o traditor! Tremar non debbe
nel trafiggere un padre
chi fin dentro a’ lor tempii insulta i numi.
Timante. Oh Dio!
Demofoonte.   Chi ti trattien? Forse il vedermi
la destra armata? Ecco l’acciaro a terra.
Brami di piú? Senza difesa io t’offro
il tuo maggior nemico. Or l’odio ascoso
puoi soddisfar: puniscimi d’averti
prodotto al mondo. A meritar fra gli empi
il primo onor poco ti manca: ormai
il piú facesti. Altro a compir non resta
che, del paterno sangue
fumante ancor, la scellerata mano
porgere alla tua bella.
Timante.   Ah! basta; ah! padre,
taci, non piú! Con quei crudeli accenti
l’anima mi trafiggi. Il figlio reo,
il colpevole acciaro (s’inginocchia)
ecco al tuo piè. Quest’infelice vita
riprenditi, se vuoi; ma non parlarmi
mai piú cosí. So ch’io trascorsi, e sento
che ardir non ho per domandar mercede;
ma un tal castigo ogni delitto eccede.
Dircea. (In che stato è per me!)