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106 xii - demofoonte


Timante. (volendo snudar la spada)  Infin ch’io vivo...

Dircea. Signor, che fai? Sol, contro tanti, invano
difendi me: perdi te stesso.
Timante.   È vero.
Miglior via prenderò. (volendo partire)
Dircea.   Dove?
Timante.   A raccórre
quanti amici potrò. Va’ pure. Al tempio
sarò prima di te. (come sopra)
Dircea.   No. Pensa... Oh Dio!
Timante. Non v’è piú che pensar. La mia pietade
giá diventa furor. Tremi qualunque
oppormisi vorrá: se fosse il padre,
non risparmio delitti. Il ferro, il fuoco
vuo’ che abbatta, consumi
la reggia, il tempio, i sacerdoti, i numi. (parte)

SCENA VI

Dircea, poi Creusa.

Dircea. Férmati! Ah! non m’ascolta. Eterni dèi,

custoditelo voi. S’ei pur si perde,
chi avrá cura del figlio? In questo stato
mi mancava il tormento
di tremar per lo sposo. Avessi almeno
a chi chieder soccorso... Ah, principessa!
ah, Creusa, pietá! Non puoi negarla;
la chiede al tuo bel core
nell’ultime miserie una che muore.
Creusa. Chi sei? che brami?
Dircea.   Il caso mio giá noto
pur troppo ti sará. Dircea son io;
vado a morir; non ho delitto. Imploro
pietá, ma non per me. Salva, proteggi