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atto secondo 105


Matusio.   È soccorso d’incognita mano

     quella brama che l’alma t’accende:
     qualche nume pietoso ti fa.
          Dall’esempio d’un padre inumano
     non s’apprende sí bella pietá. (parte)

SCENA V

Timante e poi Dircea, in bianca veste e coronata di fiori,
tra le guardie ed i ministri del tempio.

Timante. Gran passo è la mia fuga. Ella mi rende

e povero e privato. Il regno e tutte
le paterne ricchezze
io perderò. Ma la consorte e il figlio
vaglion di piú. Proprio valor non hanno
gli altri beni in se stessi, e li fa grandi
la nostra opinion. Ma i dolci affetti
e di padre e di sposo hanno i lor fonti
nell’ordine del tutto. Essi non sono
originati in noi
dalla forza dell’uso o dalle prime
idee, di cui bambini altri ci pasce:
giá ne ha i semi nell’alma ognun che nasce.
Fuggasi pur!... Ma chi s’appressa? È forse
il re: veggo i custodi. Ah! no: vi sono
ancor sacri ministri, e in bianche spoglie
fra lor... misero me! la sposa. Oh Dio!
fermatevi! Dircea, che avvenne?
Dircea.   Alfine
ecco l’ora fatale, ecco l’estremo
istante ch’io ti veggo. Ah, prence! ah, questo
è pur l’amaro passo!
Timante.   E come! il padre...
Dircea. Mi vuol morta a momenti.