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è il tuo timore.
Mirteo. Oh Dio!
Cosí avvezzo son io
invano a sospirar, che sempre temo.
sempre m’agita il petto...
Tamiri. Mirteo, cangia favella o cangia affetto.
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
mi rimproveri ognor ch’io sono ingrata.
Mirteo. Tiranna! E qual tormento
ti reco mai, se, timido e modesto,
di palesarti appena
ardisco il mio martír? Sola a sdegnarti
tu sei fra tante e tante
al sospirar d’un rispettoso amante.
Fiumicel, che s’ode appena
mormorar fra l’erbe e i fiori,
mai turbar non sa l’arena,
e alle ninfe ed ai pastori
bell’oggetto è di piacer.
Venticel, che appena scuote
picciol mirto o basso alloro,
mai non desta la tempesta;
ma cagione è di ristoro
allo stanco passeggier. (parte)
SCENA X
Tamiri, poi Semiramide.
ragione ha Nino? Io chiederò... Ma viene.
Signor, perché si tiene
prigioniero Scitalce?
Semiramide. A tuo riguardo
voglio che a’ piedi tuoi, supplice, umile,
ti chieda quell’altero
e perdono e pietá.
Tamiri. Gran pena invero!
Eh! non basta al mio sdegno. Io vo’ che il petto