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varianti 67



SCENA XIII [XII]

Semiramide, poi Ircano e Mirteo.

Semiramide. Sará dunque Scitalce

sposo a Tamiri? E tollerar lo deggio?
Lo sia. Qual cura io prendo
d’un traditor? Potessi almen spiegarmi;
dirgli ingrato, infedel! Ma in gran periglio
pongo me stessa. Ah! che farò? Vorrei
e parlare e tacer. Dubbiosa intanto,
e non parlo e non taccio;
di sdegno avvampo e di timore agghiaccio.
Principi, i vostri affetti (vedendo Ircano e Mirteo)
son sventurati.
Mirteo.   E donde il sai?
Semiramide.   Tamiri
scoperse il suo pensier.
Ircano.   Come?
Semiramide.   Non giova
consumare in querele il tempo invano.
Mirteo. Che far possiamo?
Semiramide.   Ad un rival si lascia
cosí libero il campo? Andate a lei;
ditele i vostri affanni,
pietá chiedete: e, se mercé bramate,
qualche stilla di pianto ancor versate.
Ircano. Non è sí vile Ircano.
Mirteo. A placar quell’ingrata il pianto è vano.
Semiramide.   Voi non sapete quanto
     giova a destar faville
     quell’improvviso pianto,
     che versati due pupille
     in faccia al caro ben.
          Ogni bellezza altera
     va dell’altrui dolore:
     si rende poi men fiera,
     e alfin germoglia amore
     alla pietade in sen. (parte)