Ché ad agitarmi il petto,
o somigliante o vera,
tornar sugli occhi miei
Semiramide infida or non vedrei.
Sibari. Semiramide! Come?
È teco? Ove s’asconde?
Scitalce. E cosí cieco,
Sibari, sei? Non la ravvisi in Nino?
Sibari. (Ah! la conobbe.)
Scitalce. A me la scopre assai
il girar de’ suoi sguardi
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
subito torna a palpitarmi in petto.
Sibari. Eh! t’inganna il desio. Se fosse tale,
al germano Mirteo nota sarebbe.
Scitalce. No; ché bambino ei crebbe
nella reggia de’ battri.
Sibari. E poi trascorsi
tre lustri son, da che fuggí d’Egitto;
né piú di lei novella
fra noi s’intese, e ognun la crede estinta.
Scitalce. Chi piú di me dovrebbe
crederla estinta? Io quella notte istessa
che fuggí meco, io la trafissi.
Sibari. Oh Dio!
che facesti?
Scitalce. E dovea
impunita restar? Tutto fu vero
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sibari. E il conoscesti?
Scitalce. In parte
pago sarei, se il ravvisava: in lui
potrei l’ira sfogar.
Sibari. (Non sa ch’io fui.)
Ma come ti salvasti
dal nemico furor?
Scitalce. Fra l’ombre e i rami
mi dileguai; ma prima
del Nilo in su la sponda
l’empia trafissi, e la balzai nell’onda.