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atto terzo 53
Semiramide. No, vanne: i detti tuoi

solo ascoltar vogl’io.
Scitalce. Perché?
Mirteo.   Resti.
Ircano.   Si senta.
Sibari.   Udite.
Semiramide.   (Oh Dio!)
Sibari. Semiramide amai: lo tacqui. Intesi
l’amor suo con Scitalce: a lei concessi
agio a fuggir. Quanto quel foglio afferma
finsi per farla mia.
Scitalce.   Fingesti! Io vidi
pure il rival, vidi gli armati.
Sibari.   Io fui
che, mal noto fra l’ombre,
sul Nilo v’attendea. Volli assalirti,
vedendoti con lei;
ma fra l’ombre in un tratto io vi perdei.
Scitalce. Ah, perfido! (Che feci!)
Sibari.   Udite: ancora
molto mi resta a dir.
Semiramide.   Sibari, basta!
Ircano. No; pria si chiami autore
de’ falli apposti a me.
Sibari.   Tutti son miei.
Semiramide. Basta, non piú!
Sibari.   No, non mi basta.
Semiramide.   (Oh dèi!)
Sibari. Giá che perduto io sono,
altri lieto non sia. Popoli, a voi
scopro un inganno: aprite i lumi. Ingombra
una femmina imbelle il vostro impero...
Semiramide. Taci. (È tempo d’ardir.) (s’alza in piedi sul trono)
  Popoli, è vero:
Semiramide io son. Del figlio invece
regnai finor, ma per giovarvi. Io tolsi