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48 | vi - semiramide |
m’avveggo dell’error: teco un ingrato
so che finora io fui; ma piú nol sono.
Concedimi, io l’imploro, il tuo perdono.
Tamiri. (Nino parlò per me.) Tutto, o Scitalce,
tutto mi scorderei; ma in te sospetto
di qualche ardor primiero
viva la fiamma ancor.
Scitalce. No, non è vero.
Tamiri. Finger tu puoi: nol crederò, se pria
la tua destra non stringo.
Scitalce. Ecco la destra mia: vedi s’io fingo.
SCENA VI
Mirteo e detti.
Piú non sei prigionier. Libero il campo
il re concede: a che tardar? Raccogli
quegli spirti codardi.
Scitalce. Mirteo, per quanto io tardi,
troppo sempre a tuo danno
sollecito sarò.
Mirteo. Dunque si vada.
Tamiri. No, no; giá tutto è in pace:
che si pugni per me piú non intendo.
Scitalce. Soddisfarlo convien. Prence, t’attendo.
Odi quel fasto? (a Tamiri)
Scorgi quel foco?
Tutto fra poco
vedrai mancar.
Al gran contrasto
vedersi appresso
non è l’istesso
che minacciar. (parte)