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333 atto secondo


SCENA IV

Eurinome, e seco baccanti ed amazzoni con faci accese ed armi, e detti.

Eurinome.   Olá! cingete,

compagne, il bosco intorno, ed ogni uscita
del giardino reale.
Issipile.   (Ah! fu presago
di Toante il timor.)
Eurinome.   Scoperta sei.
Palesa il padre.
Issipile.   (Ah, m’assistete, oh dèi!)
Mi si chiede un estinto?
Eurinome.   Eh! di menzogne
or piú tempo non è. V’è chi t’intese
chiamarlo a nome e ragionar con lui.
Issipile. Pur troppo è ver. L’immagine funesta
sempre mi sta sugli occhi; in ogni loco
segue la fuga mia; mi chiama ingrata,
mi sgrida, mi rinfaccia
che vide per mia colpa il giorno estremo.
Eurinome. (Io gelo, e so che finge.)
Issipile.   (Io fingo e tremo.)
Eurinome. Eh! gl’inganni son vani.
Issipile.   Oh Dio! Nol vedi,
Eurinome, tu stessa? Osserva il ciglio
tumido di furor, molle del pianto,
che s’esprime dal cor quando s’adira.
Il bianco crin rimira,
che, di tiepido sangue ancor stillante,
gli ricade sul volto. Odi gli accenti;
vedi gli atti sdegnosi. Ombra infelice,
son punita abbastanza. Ascondi, ascondi
la face, oh Dio! caliginosa e nera,
e i flagelli d’Aletto e di Megera.