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302 ix - demetrio


Cleonice. Signor, cangiammo sorte. Il re tu sei,

la suddita son io;
e ’l timor dal tuo sen passò nel mio.
Va’, Demetrio. Ecco il soglio
degli avi tuoi. Con quel piacer lo rendo,
che donato l’avrei. Godilo almeno
piú felice di me. Finché m’accolse,
cosí mi fu d’ogni contento avaro,
che sol quando lo perdo egli mi è caro.
Mitrane. Anime generose!
Alceste.   Andrò sul trono,
ma la tua man mi guidi; e quella mano
sia premio alla mia fé.
Cleonice.   Sí grato cenno
il merto d’ubbidir tutto mi toglie.
  (vanno vicino all’ara, e si porgono la mano)
Fenicio. Oh qual piacer nell’alma mia s’accoglie!
Alceste e Cleonice.   Deh! risplendi, o chiaro nume,
fausto sempre al nostro amor.
Alceste.   Qual son io, tu fosti amante,
     di Tessaglia in riva al fiume
     e in sembiante di pastor.
Cleonice.   Qual son io, tu sei costante.
     e conservi il bel costume
     d’esser fido ai lauri ancor.
Alceste e Cleonice.   Deh! risplendi o chiaro nume,
     fausto sempre al nostro amor.
Fenicio. Tuona a sinistra il ciel.

SCENA XIV

Barsene e detti.

Parsene.   Tutta in tumulto

è Seleucia, o regina.
Alceste. Perché?