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atto terzo 297


Fenicio. Né pensò la regina

quanto ineguale a lei
sia Fenicio d’etá?
Alceste.   Pensò che in altri
piú senno e maggior fede
ritrovar non potea. Con questa scelta,
la magnanima donna
mille cose compí. Premia il tuo merto;
fa mentire i maligni;
provvede al regno; il van desio delude
di tanti ambiziosi...
Mitrane.   E calma in parte
le gelose tempeste
nel dubbio cor dell’affannato Alceste.
Fenicio. Ecco l’unico evento a cui quest’alma
preparata non era.
Olinto.   Ognun sospira
di vedere il suo re. Consola, o padre,
gli amici impazienti,
il popolo fedel, Seleucia tutta,
che freme di piacer.
Fenicio.   Precedi, Olinto,
al tempio i passi miei. Di’ che fra poco
vedranno il re. Meco Mitrane e Alceste
rimangano un momento.
Olinto. (Purché Alceste non goda, io son contento.) (parte)
Fenicio. Numi del ciel, pietosi numi, io tanto
non bramavo da voi. Cure felici!
fortunato sudor! Finisco, Alceste,
d’essere padre. In queste braccia accolto
piú col nome di figlio
esser non puoi. Son queste
l’ultime tenerezze. (l’abbraccia)
Alceste.   E per qual fallo
io tanto ben perdei?
Fenicio. Son tuo vassallo, ed il mio re tu sei. (s’inginocchia)