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292 ix - demetrio


all’Asia debitor di quella pace,

che, fra tante vicende,
dalla tua man, dalla tua mente attende.
Deh! non perdiamo il frutto
delle lagrime nostre
e del nostro dolor. Tu fosti, o cara,
quella che m’insegnasti
ad amarti cosí. Gloria sí bella
merita questa pena. Ai dí futuri
l’istoria passerá de’ nostri amori,
ma congiunta con quella
della nostra virtude; e, se non lice
a noi vivere uniti
felicemente infino all’ore estreme,
vivranno almeno i nostri nomi insieme.
Cleonice. Deh! perché qui raccolta
tutta l’Asia non è? ché l’Asia tutta
di quell’amor, che in Cleonice accusa,
nel tuo parlar ritroveria la scusa.
Io vacillai; ma tu mi rendi, o caro,
la mia virtude, e nella tua favella
quell’istessa virtú mi par piú bella.
Parti; ma prima ammira
gli effetti in me di tua fortezza. Alceste,
vedrai come io t’imito:
seguimi nella reggia. Il nuovo sposo
da me saprai. Dell’imeneo reale
ti voglio spettator.
Alceste.   Troppa costanza
brami da me.
Cleonice.   Ci sosterremo insieme,
emulandoci a gara.
Alceste.   Oh Dio! non sai
il barbaro martír d’un vero amante,
che di quel ben, che a lui sperar non lice,
invidia in altri il possessor felice.