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290 ix - demetrio


SCENA III

Cleonice ed Alceste.

Cleonice. Alceste, assai diverso

è ’l meditar dall’eseguir le imprese.
Finché mi sei presente,
facile credo il riportar vittoria,
e parmi che l’amor ceda alla gloria.
Ma, quando poi mi trovo
priva di te, s’indebolisce il core,
e la mia gloria, oh Dio! cede all’amore.
Alceste. Che vuoi dirmi perciò?
Cleonice.   Che non poss’io
viver senza di te. Se Alceste e il regno
non vuol ch’io goda uniti
il rigor delle stelle a me funeste,
si lasci il regno e non si perda Alceste.
Alceste. Come!
Cleonice.   Su queste arene
rimaner non conviene. Aure piú liete
a respirare altrove
teco verrò.
Alceste.   Meco verrai! Ma dove?
Cara, se avessi anch’io,
sudor degli avi miei, sudditi e trono,
sarei, piú che non sono,
facile a compiacere il tuo disegno;
ma i sudditi ed il regno,
che in retaggio mi die’ sorte tiranna,
son pochi armenti ed una vil capanna.
Cleonice. Nel tuo povero albergo
quella pace godrò, che in regio tetto
lunge da te questo mio cor non gode.