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280 ix - demetrio


quella beltá che non soggiace al giro

di fortuna e d’etade: amo il suo core;
amo l’anima bella
che, adorna di se stessa
e delle sue virtú, rende allo scettro
ed al serto real co’ pregi sui
luce maggior che non ottien da lui.
Cleonice. Da cosí degno amante
un magnanimo sforzo
posso dunque sperar?
Alceste.   Qualunque legge
fedele eseguirò.
Cleonice.   Molto prometti.
Alceste. E tutto adempirò. Non v’è periglio,
che lieve non divenga
sostenuto per te. N’andrò sicuro
a sfidar le tempeste: inerme il petto
esporrò, se lo chiedi, incontro all’armi.
Cleonice. Chiedo molto di piú: convien lasciarmi.
Alceste. Lasciarti? Oh dèi! che dici?
Cleonice. E lasciarmi per sempre, e in altro cielo
viver senza di me.
Alceste.   Ma chi prescrive
cosí barbara legge?
Cleonice.   Il mio decoro,
il genio de’ vassalli,
la giustizia, il dover, la gloria mia,
quella virtú che tanto
ti piacque in me, quella che al regio serto
rende co’ pregi sui
luce maggior che non ottien da lui.
Alceste. E con tanta costanza
chiedi ch’io t’abbandoni?
Cleonice.   Ah! tu non sai...
Alceste. So che non m’ami, e lo conosco assai. (s’alza)
Appaga la tua gloria,