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atto secondo 273


quasi fuori di sé. La dura legge

di piú non rivederti
è un colpo tal, che gli trafigge il core,
che la ragion gli toglie,
che lo porta a morir. Freme, sospira,
prega, minaccia; e fra le smanie e ’l pianto
sol di te si ricorda,
il tuo nome ripete ad ogni passo:
farebbe il suo dolor pietade a un sasso.
Cleonice. Ah, Fenicio crudel! Da te sperava
la vacillante mia
mal sicura virtú qualche sostegno,
non impulsi a cader. Perché ritorni
barbaramente a ritentar la viva
ferita del mio cor?
Fenicio.   Perdona al zelo
del mio paterno amor questo trasporto.
Alceste è figlio mio,
figlio della mia scelta,
figlio del mio sudor; pianta felice,
custodita finora
dalle mie cure e dai consigli miei,
cresciuta al fausto raggio
del tuo regio favor; speme del regno,
di mia cadente etá speme e sostegno.
Barsene. (Zelo importuno!)
Fenicio.   E inaridir vedrassi
cosí bella speranza in un momento?
Regina, in me non sento
sí robusta vecchiezza e sí vivace,
che possa a questo colpo
sopravvivere un dí.
Cleonice.   Che far poss’io?
Che vuole Alceste? E qual da me richiede
conforto al suo martíre?
Fenicio. Rivederti una volta, e poi morire.