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234 viii - adriano in siria


Adriano. Che dici?

Sabina.   A me piú non pensar. Saranno
brevi le pene mie. Morrei contenta,
se i giorni, che ’l dolore (piange)
usurpa a me, ti raddoppiasse amore.
Adriano. Anima generosa,
degna di mille imperi! Anima grande!
Qual sovrumano è questo
eccesso di virtú? Tutti volete
. . . . . . . . . . . . . . . . . . 
E do leggi alla terra? Ah! no. Vi sento
ribollir per le vene,
spirti di gloria e di virtú. Mi desto
dal letargo funesto, ond’era avvolto:
son disciolto, son mio. Perdono, o cara,
o illustre mia liberatrice. Osserva
quale incendio d’onore
m’hai svegliato nell’alma. In questo giorno
tutti voglio felici. Ad Osroa io dono
. . . . . . . . . . . . . . . . . . 
e a te, degno di te, rendo me stesso. (a Sabina)
Sabina. Oh gioie!
Emirena.   Oh tenerezze!
Farnaspe. Oh contento improvviso!
Sabina. Ecco il vero Adriano. Or lo ravviso.
Farnaspe. Deh! Cesare, permetti
ch’Osroa a te venga.
Adriano.   Ah! no. Rincrescerebbe
a quell’alma sdegnosa
l’aspetto mio. Con quelle navi istesse,
dov’ora è prigionier, vada sovrano
dove gli piace. E, se mi vuole amico,
dite che Augusto il brama, e non lo chiede.
Sia dono l’amicizia, e non mercede.
Farnaspe. Oh magnanimo cor!
Adriano. (ad Emirena)  Tu, principessa,
quanto da me dipende,
chiedimi, e l’otterrai. Lasciami solo
la pace del mio cor, ecc.