Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. II, 1913 – BEIC 1884499.pdf/234

228 viii - adriano in siria


Farnaspe. E che ti giova, o cara,

sol per pochi momenti
differirmi la pena? Il mio delitto
piú celar non si può. Tu mi condanni
nel volermi scusar. Con farmi reo,
non mi offendi però. Cari a tal segno
mi sono i falli miei,
che tornare innocente io non vorrei.
Adriano. Oh anima perversa!
Emirena.   Io non l’intendo.
Farnaspe. (Che bel morir, se ’l mio signor difendo!)
Emirena. Prence, sposo, ben mio, perché congiuri
tu ancor contro te stesso? Empio non sei,
e vuoi parerlo? Ah! qual follia novella...
Farnaspe. Lasciami la mia colpa: è troppo bella.
Adriano. Questo è pur quel Farnaspe,
che tu non conoscevi. Or come è mai
divenuto il tuo ben? Dove lasciasti
la freddezza primiera,
anima ingannatrice e menzognera?
Emirena. Signor...
Adriano.   Costui mi pagherá la pena
di piú colpe in un punto. Olá! (alle guardie)
Emirena.   Ma guarda
l’insidiator qual sia.
Farnaspe.   Taci una volta,
Emirena, se m’ami.
Emirena.   Io t’odierei,
se t’ubbidissi. I passi miei seguite.
Qui, qui s’asconde il traditore. (corre verso Osroa)
Farnaspe.   Oh Dio!

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Osroa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

l’un per l’altro svenai.
Farnaspe.   Rimase oppresso
il traditor nel tradimento istesso.
Adriano. Troppo ingrata mercede,
barbaro, tu mi rendi, ecc.