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atto terzo | 209 |
SCENA VIII
Farnaspe solo.
la fedeltá, la tenerezza a prova
pugnano nel mio seno. Or questa, or quella
è vinta, è vincitrice, ed a vicenda
varian fortuna e tempre:
ma, qualunque trionfi, io perdo sempre.
Son sventurato: — ma pure, o stelle,
io vi son grato — che almen sí belle
sian le cagioni del mio martír.
Poco è funesta — l’altrui fortuna,
quando non resta — ragione alcuna
né di pentirsi, né d’arrossir. (parte)
SCENA IX
Luogo magnifico del palazzo imperiale; scale per cui si scende alle ripe dell’Oronte; veduta di campagna e giardini sull’opposta sponda.
Sabina con séguito di matrone e cavalieri romani,
Aquilio, indi Adriano.
mi discacci Adriano, è a te delitto
del mio cor la richiesta.
Aquilio. La prima volta è questa...
Sabina. E sia l’ultima volta
che mi parli d’amor. (partendo per imbarcarsi)
Adriano. Sabina, ascolta.
Aquilio. (Aimè.)
Sabina. (Numi!) Che chiedi? (tornando indietro)
Adriano. A questo segno