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atto primo 15
la fronte, il labbro, e l’una e l’altra gota

facile ad arrossir; ma, piú d’ogni altro,
il cor, che al noto aspetto
subito torna a palpitarmi in petto.
Sibari. (Dèi! la conobbe.) Ah! no. Se fosse tale,
al germano Mirteo nota sarebbe.
Scitalce. No; ché bambino ei crebbe
nella reggia de’ battri.
Sibari.   In Asia ognuno
la crede estinta.
Scitalce.   Ah! piú d’ogni altro, amico,
io crederlo dovrei. Tutto fu vero
quanto svelasti a me. Nel luogo andai
destinato da lei; venne l’infida;
meco fuggí; ma poi
non lungi dalla reggia
l’insidie ritrovai. Cinto d’armati
v’era il rivale...
Sibari.   E il conoscesti? (con timore)
Scitalce.   Almeno
potrei sfogarmi in lui.
Sibari. (Torniamo a respirar: non sa ch’io fui).
Ma da tanti nemici
chi ti salvò?
Scitalce.   Fra l’ombre
del bosco e della notte
mi dileguai; ma prima
del Nilo in su la sponda
l’empia trafissi e la balzai nell’onda.
Sibari. Aimè!
Scitalce.   Da quel momento
pace non so trovar. Sempre ho sugli occhi,
sempre il tuo foglio, il mio schernito foco,
la sponda, il fiume, il tradimento, il loco.
Sibari. Il foglio mio! Forse lo serbi?
Scitalce.   Il serbo
per gloria tua, per mia difesa.