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202 viii - adriano in siria


soli fossero eterni. Alfin la pace

è necessaria al vinto,
utile al vincitor. Fra noi mancata
è la materia all’ire. Il fato avverso
tanto ti tolse, e tanto
mi die’ benigno il ciel, che non rimane
né che vincere a noi,
né che perdere a te.
Osroa.   Sí, conservai
l’odio primiero; onde mi resta assai.
Aquilio. (Che barbara ferocia!)
Adriano.   Ah! non vantarti
d’un ben che posseduto
tormenta il possessor. Puoi meglio altronde
il tuo fasto appagar. Sappi che sei
arbitro tu del mio riposo, appunto
qual son io de’ tuoi giorni. Ordina in guisa
gli umani eventi il ciel, che tutti a tutti
siam necessari, e il piú felice spesso
nel piú misero trova
che sperar, che temer. Sol che tu parli,
la principessa è mia; sol ch’io lo voglia,
tu sei libero e re. Facciamo, amico,
uso del poter nostro
a vantaggio d’entrambi. Io chiedo in dono
da te la figlia, e t’offerisco il trono.
Aquilio. (Tremo della risposta.)
Adriano.   E ben, che dici?
Tu sorridi e non parli? (ad Osroa)
Osroa.   E vuoi ch’io creda
sí debole Adriano?
Adriano.   Ah! che pur troppo,
Osroa, io lo son. Dissimular che giova?
Se la bella Emirena
meco non vedo in dolce nodo unita,
non ho ben, non ho pace e non ho vita.