Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. II, 1913 – BEIC 1884499.pdf/176

170 viii - adriano in siria


di tale indifferenza il tuo sembiante,

come se piú di lui non fossi amante.
Emirena. E il povero Farnaspe
di me che mai direbbe? Ah! tu non sai
di qual tempra è quel core. Io lo vedrei
a tal colpo morir sugli occhi miei.
Aquilio. Addio. Pensaci, e trova,
se puoi, miglior consiglio.
Emirena.   Odimi. Almeno
corri, previeni il prence...
Aquilio.   Eccolo.
Emirena.   Oh Dio!
Aquilio. Ármati di fortezza. Io t’insegnai
ad evitare il tuo destin funesto. (parte)
Emirena. Misera me, che duro passo è questo!

SCENA V

Adriano, Farnaspe ed Emirena.

Adriano. Principe, quelle sono

le sembianze che adori?
Farnaspe.   Ah! sí, son quelle;
e sempre agli occhi miei sembran piú belle.
Emirena. (Mi trema il cor.)
Adriano.   Vaga Emirena, osserva
con chi ritorno a te. Piú dell’usato
so che grato ti giungo: afferma il vero.
Emirena. Non so chi sia quello stranier.
Farnaspe. (rimane stupido)  Straniero!
Adriano. Che! Nol conosci?
Emirena.   (Oh Dio!) No.
Adriano.   Quei sembianti
altrove hai pur veduti.
Emirena. No. (Se parlo, io mi scopro, e siam perduti.)
Adriano. Prence, questa è colei che teco apprese
a vivere e ad amar?